In Lombardia si guadagnano 30.384 euro l'anno, in Calabria 15.880. Praticamente il doppio. Il divario salariale tra Nord e Sud resta un baratro che nemmeno la crescita occupazionale del 2024 è riuscita a colmare. Lo certificano i numeri dell'Osservatorio Inps sui lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo, elaborati da Withub e Isnec, l'Istituto nazionale esperti contabili. Un quadro che racconta un Paese a due velocità, dove la geografia conta quasi quanto le competenze.
Nel 2024 i lavoratori dipendenti del settore privato sono saliti a 17,7 milioni, con un incremento del 2% rispetto al 2023. La retribuzione media annua è di 24.486 euro, in crescita del 3,4%, per 247 giornate lavorate, dato quasi stabile. Gli operai restano la maggioranza con il 56%, mentre impiegati e apprendisti rappresentano il 41% complessivo. La classe d'età più numerosa è quella tra i 50 e i 54 anni, mentre i giovani sotto i 24 anni registrano meno giornate retribuite, segno della forte incidenza di lavoro stagionale e contratti a termine.
La geografia degli stipendi -
Dopo la Lombardia, che guida la classifica con 30.384 euro di retribuzione media lorda annua, si piazzano Emilia-Romagna con 26.377 euro e Piemonte con 26.249. Il Nord-ovest domina con il 31,4% degli occupati e le retribuzioni più elevate, con una media di 28.852 euro. Ma basta scendere sotto Roma per vedere i numeri crollare. Campania, Sicilia e Calabria chiudono la classifica con 18.125, 17.735 e 15.880 euro, cifre lontanissime dalla media nazionale.Un dato ancora più eloquente emerge guardando la distribuzione per classe di retribuzione: in Lombardia le retribuzioni lorde oltre i 50mila euro sono il 12,6%, in Calabria non vanno oltre il 2,1%. Una forbice che racconta non solo differenze economiche, ma anche opportunità di carriera radicalmente diverse a seconda del luogo di nascita.
Il gap di genere che pesa -
"Rilevante il divario di genere", sottolinea Michela Benna, consigliera d'amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili. Gli uomini sono il 57% del totale e percepiscono in media 27.967 euro annui, contro 19.833 euro delle donne. Ottomila euro di differenza che si traducono in anni di contributi persi, pensioni più basse, minore autonomia economica. Il gap è legato soprattutto alla diffusione del part-time femminile: nel 2024 il 49% delle lavoratrici ha avuto almeno un contratto part-time, contro il 21% degli uomini. "Questo dato evidenzia criticità anche in termini di carriera e stabilità economica", aggiunge Benna. Il part-time, spesso subito e non scelto, diventa una trappola che limita le possibilità di crescita professionale e consolida le disuguaglianze.
Tempo indeterminato in crescita Una nota positiva arriva dal fronte dei contratti stabili. Cresce il lavoro a tempo indeterminato: quasi 13 milioni di lavoratori, con un incremento del 2,1% e una retribuzione media di 29.594 euro. Il settore manifatturiero si conferma il traino dell'occupazione, seguito da commercio, alloggio e ristorazione. Ma anche qui le differenze territoriali pesano: Sud e Isole restano più dipendenti dal tempo determinato, alimentando un circolo vizioso di precarietà. Serve una svolta "Il quadro segnala una ripresa occupazionale accompagnata però da squilibri strutturali", conclude Benna. "Servono politiche mirate per giovani, donne e aree svantaggiate, con incentivi alla stabilizzazione e alla formazione professionale". Perché avere più lavoratori è un risultato importante, ma non basta se metà del Paese continua a essere lasciata indietro.