La Cassazione ha condannato un padre che, stanco delle ripetute prepotenze che il figlio undicenne subiva da un ragazzino di due anni più grande, si è fatto giustizia da sé portando il bullo a chiedere scusa in ginocchio alla "vittima" e dandogli pure due schiaffi. La Suprema corte lo ha avvertito che "punizione e rieducazione" non spettano ai genitori e ha confermato una multa di 3.420 euro con condanna a risarcire il trauma psichico patito dal "bullo".
L'uomo, un 52enne di Forlì, era già stato condannato in primo e secondo grado. La Cassazione ha ora confermato la pena di tre mesi di reclusione, convertita in multa, ritenuta "calibrata e commisurata alla gravità del danno cagionato al minorenne".
Secondo i magistrati con l'ermellino, l'uomo, di fronte alle continue vessazioni avvenute in una palestra di Forlì, avrebbe dovuto rivolgersi tempestivamente ai gestori del centro sportivo per l'adozione delle necessarie misure preventive e punitive".
Il padre del ragazzino di 11 anni aveva deciso di farsi giustizia da solo dopo l'ennesima angheria compiuta dal tredicenne: era andato a prendere il bullo e lo aveva trascinato prendendolo per i capelli e per un orecchio nella camera da letto della vittima, obbligandolo a chiedere scusa a suon di minacce. Poi, lo aveva ammonito con due schiaffi.
Secondo la Cassazione, la vittima del padre-giustiziere "è stata sicuramente sconvolta e alterata, sul piano psichico, dalla condotta reiteratamente violenta, sotto tutti i profili, dell'imputato, proiettata verso un obiettivo di punizione e rieducazione, assolutamente al di fuori della sua competenza ed estranea alle regole di civiltà che sempre e comunque devono vincolare le azioni e le reazioni dei cittadini'.