La trattativa sull'ex Ilva è arrivata al capolinea, con l'annuncio dello sciopero da parte dei sindacati. Dopo circa quattro ore di incontro, è infatti saltato il tentativo del governo di chiudere, positivamente, il tavolo con le parti sociali. Ad annunciarlo il segretario generale della Uilm Rocco Palombella che ha spiegato: "Abbiamo rotto, abbiamo dichiarato 24 ore di sciopero a partire da domani (19 novembre, ndr), con assemblee. Perché i nostri dubbi sono diventate certezze. È un disastro". Secondo Palombella, infatti, "il piano porta alla chiusura dello stabilimento. È mancato il senso di responsabilità delle istituzioni e del governo". "Abbiamo chiesto alla Presidenza del Consiglio di ritirare il piano e di fare intervenire direttamente il premier Meloni. Ci hanno risposto di no e noi abbiamo deciso, ovviamente, di dichiarare sciopero", ha aggiunto il leader della Fiom, Michele De Palma.
Lo scontro sulle misure per i lavoratori -
Al tavolo è emerso nuovamente il nodo della cassa integrazione. Già nel precedente confronto era stato indicato che 1.550 lavoratori si sarebbero aggiunti ai 4.450 attualmente in cassa, per un totale di 6mila unità da gennaio e per due mesi. La prospettiva di un utilizzo così esteso degli ammortizzatori sociali ha alimentato la tensione con i sindacati. Per il governo, però, il ricorso alla formazione consentirebbe di aggiornare le competenze del personale in vista delle tecnologie green richieste per le nuove produzioni di acciaio. Una visione che non basta a rassicurare le organizzazioni dei metalmeccanici, convinte che le misure prospettate non garantiscano la continuità dell'attività industriale.
Il fronte sindacale e la scelta dello sciopero -
La delusione emersa al termine del confronto porta i sindacati alla decisione di proclamare uno sciopero unitario. La Uilm, per voce del segretario generale Rocco Palombella, parla del rischio concreto che dal primo marzo "non ci saranno più 6.000 lavoratori in cassa integrazione, ma ci sarà la totalità dei lavoratori", evocando uno scenario definito "un disastro". A Genova lo stop scatterà già domani, mentre a Taranto si terrà un'assemblea che deciderà la data della mobilitazione, probabilmente entro la settimana. Anche la Fim-Cisl e la Fiom-Cgil ribadiscono l'inaccettabilità di un piano che, secondo loro, "di fatto va a ridimensionare le attività" e sollecitano un intervento diretto della presidente del Consiglio. Le sigle dei metalmeccanici chiedono inoltre che l'esecutivo ritiri la proposta presentata al tavolo.
Le posizioni del governo e il nodo della formazione -
L'esecutivo difende la strategia illustrata nel corso del vertice. Palazzo Chigi sottolinea come non sia prevista un'ulteriore estensione della cassa integrazione e come i percorsi formativi proposti mirino a rafforzare la capacità produttiva dello stabilimento in una fase di transizione tecnologica. La formazione, spiegano fonti governative, servirà a far acquisire ai dipendenti le competenze utili alla lavorazione dell'acciaio realizzato con tecnologie a basso impatto ambientale. Il governo ribadisce inoltre la disponibilità a mantenere aperto il confronto con le parti sociali, nonostante la distanza sulle misure prospettate.
Il tema della vendita e gli interessamenti sul tavolo -
Nel corso del vertice il governo ha fatto anche il punto sulle trattative per la vendita del gruppo. Oltre ai fondi Bedrock Industries e Flacks Group, è in corso un'interlocuzione con un altro soggetto industriale mantenuto nel massimo riserbo. L'Ugl segnala inoltre l'interessamento di un operatore extraeuropeo, definito come "un elemento di novità". La fase resta delicata, con più opzioni aperte e senza decisioni definitive sui futuri assetti proprietari.
Preoccupazioni sull'assetto futuro del siderurgico -
La tensione resta alta tra i lavoratori. L'Usb accusa il governo di confermare un piano "di dismissione" e sostiene che il pacchetto di formazione da 93mila ore destinato a 1.550 lavoratori coprirebbe soltanto l'assenza di attività produttive, senza costituire una reale prospettiva industriale. Le sigle sindacali tornano a chiedere un intervento diretto dello Stato, nell'ottica di preservare l'occupazione e garantire un percorso di rilancio dello stabilimento. Il quadro rimane aperto, con nuove iniziative sindacali in programma e un confronto istituzionale che appare ancora complesso.