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Morto Lee Tamahori, regista di "Once Were Warriors"

Il regista neozelandese era diventato una presenza fissa a Hollywood negli anni 90 e 2000, realizzando anche l'ultimo film di Pierce Brosnan come 007, prima di tornare nel suo Paese d'origine

© IPA

Il regista neozelandese Lee Tamahori si è spento ieri all'età di 75 anni. Raggiunse la fama nel 1994 grazie al suo capolavoro "Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri", un intenso dramma che esplorava con sensibilità e crudezza la realtà della comunità maori. Successivamente intraprese una brillante carriera nella regia di pellicole d'azione, consolidando il suo talento dietro la macchina da presa, fino a dirigere anche un capitolo della celebre saga di James Bond. A dare l'annuncio della sua scomparsa è stata la sua famiglia, che ha ricordato con affetto l'eredità lasciata da una delle personalità maori più significative e influenti nel panorama dell'intrattenimento internazionale.

In una dichiarazione a Radio New Zealand, la famiglia di Tamahori ha dichiarato che l'uomo era affetto dal morbo di Parkinson e che è morto "serenamente a casa". Hanno aggiunto che: "La sua eredità perdura con la sua famiglia, ogni regista che ha ispirato, ogni limite che ha infranto e ogni storia che ha raccontato con il suo occhio geniale e il suo cuore onesto. Leader carismatico e dallo spirito creativo feroce, Lee ha sostenuto la causa Maori sia sullo schermo che fuori. Abbiamo perso un immenso spirito creativo".

Nato a Wellington il 17 giugno 1950, da padre di origini Maori e madre britannica, Lee Tamahori ha iniziato la sua carriera negli anni 70 come fotografo e regista di spot pubblicitari, per poi approdare al cinema in qualità di aiuto regista. La svolta arrivò nel 1994 con "Once Were Warriors", un intenso e crudo ritratto di una famiglia Maori ai margini della società. Il film conquistò il pubblico, diventando il maggiore incasso nella storia del cinema neozelandese e rimanendo uno dei più visti del Paese. Questo successo lo catapultò a Hollywood, dove firmò thriller acclamati come "Scomodi omicidi" (1996), "L'urlo dell'odio" (1997) con Anthony Hopkins e "Nella morsa del ragno" (2001) con Morgan Freeman.

Nel 2002 fu la volta del ventesimo capitolo della saga di James Bond, "La morte può attendere", l'ultimo con Pierce Brosnan nei panni dell'agente 007. Tamahori si dedicò anche alla televisione, dirigendo episodi di serie come I Soprano, e tornò ciclicamente a occuparsi di storie legate alla sua terra d’origine. Negli anni Duemila alternò grandi produzioni internazionali, come "xXx 2: The Next Level" e "Next", adattamento di un racconto di Philip K. Dick, a opere di taglio più intimista, tra cui "The Devil’s Double" (2011) e "The Patriarch" (2016), entrambe apprezzate per la loro intensità narrativa. La sua ultima opera, "The Convert" (2023), con l’attore australiano Guy Pearce, è un dramma storico ambientato nella Nuova Zelanda coloniale che rappresenta simbolicamente un ritorno alle sue radici.

Nel 2006 venne arrestato a Los Angeles con l’accusa di aver proposto una prestazione sessuale a un agente sotto copertura mentre indossava abiti femminili. L’episodio si risolse con una condanna a tre anni di libertà vigilata e l’obbligo di completare 15 giorni di lavori socialmente utili, tra cui la pulizia delle strade di Hollywood. Sposato due volte, Tamahori ha avuto un figlio da ognuno dei suoi matrimoni.