Sulla tragedia della Torre dei Conti a Roma, a Tgcom24 il commento tecnico di Carlotta Penati, presidente dell'Ordine degli Ingegneri di Milano. "In questa fase bisogna essere cauti, nel rispetto delle persone coinvolte, - premette, - ma è possibile che con gli ultimi interventi sia stato alterato il fragile equilibrio raggiunto nei secoli".
Cosa può essere accaduto in fase di ristrutturazione su una struttura del IX secolo che ha subito interventi di ampliamento e rinforzo ma anche sventramento nel corso dei secoli tanto da essere ridotta oggi a un terzo della sua costruzione originaria?
"Non è possibile fornire una risposta univoca e precisa senza dati tecnici e analisi dirette in situ; bisogna essere molto cauti, anche nel rispetto delle persone e ditte coinvolte. I tecnici e gli specialisti ci diranno i motivi del crollo, dopo le opportune indagini, ma in linea generale, per la Torre dei Conti, come per molti edifici storici di epoca medievale, si può ipotizzare un'estrema complessità strutturale, risultato di secoli di modifiche, stratificazioni e demolizioni parziali. Quando si interviene su un manufatto di questo tipo è possibile che venga alterato il fragile equilibrio raggiunto nel corso dei secoli".
Che idea si è fatta?
"Quando un edificio storico ha già perso gran parte della propria massa e rigidità originaria (come nel caso della Torre dei Conti, ridotta a circa un terzo dell’altezza primitiva) la sua risposta alle sollecitazioni non è più prevedibile se non previe accurate indagini. L'apparente stabilità di elementi rimasti in piedi per secoli può celare una rete di equilibri precari che il restauro deve saper leggere e rispettare, con interventi reversibili e monitorati in tempo reale. Nel caso della Torre, le condizioni pregresse di degrado indicano un quadro di vulnerabilità diffusa, che può aver contribuito al crollo. Il degrado delle strutture in muratura è tanto più veloce quanto maggiore è l'esposizione agli agenti atmosferici e quanto minore è la manutenzione delle stesse, in particolare delle coperture. Altro motivo di crolli, a volte, è la presenza di spinte di archi o volte non contrastate, per il cedimento di catene o per il venir meno di elementi strutturali pensati originariamente per contrastare tali spinte; ma in questo caso nulla si può dire prima che siano state fatte le dovute indagini.
In una primissima ipotesi, si punta il dito anche contro la vegetazione. Si parla, infatti, di un edificio fatiscente all'interno e che all'esterno presentava problemi di coesione causati dalle piante infestanti. È un'ipotesi plausibile?
"Sì, è un’ipotesi plausibile: in un edificio abbandonato o non regolarmente manutenuto, la vegetazione infestante agisce come un agente di deterioramento attivo e inesorabile, capace di trasformare un danno superficiale in un problema strutturale profondo. È possibile che le piante infestanti, crescendo, con la pressione progressiva esercitata dalle loro radici, abbiano accelerato la disgregazione della muratura, specialmente in presenza di malta fra i mattoni povera di calce e, comunque, molto degradata per l'età, provocando, insieme ad altri fattori, una perdita di coesione progressiva nel paramento esterno (già peraltro documentata dalla descrizione del progetto di restauro che parlava di "estesi e diffusi fenomeni di decoesione degli elementi costruttivi"), fino a determinare una condizione di instabilità diffusa. In più, la presenza di radici può aver esacerbato la problematica delle infiltrazioni, creando vuoti e micro canali che facilitano anche il passaggio dell’acqua piovana, con conseguente aumento dell’umidità e del degrado interno".
Come ci si approccia tecnicamente in interventi di ristrutturazione di tali strutture antiche? In questo caso si parla di un intervento complesso di restauro finalizzato a una sua rifunzionalizzazione...
"Il progetto di riqualificazione di un'opera monumentale parte sempre da un'accurata conoscenza della stessa: si inizia da un'analisi storica utilizzando la documentazione reperibile negli archivi della città, che permettono di ricostruire le fasi costruttive dell’edificio, gli ampliamenti, i rinforzi e, in particolare, gli sventramenti e i crolli passati; si passa, poi, ai rilievi di geometrie e dettagli costruttivi, con la mappatura precisa delle lesioni, delle fessure e degli elementi degradati, fino ad arrivare alle prove in situ e/o in laboratorio per accertare le caratteristiche meccaniche, chimiche e fisiche dei materiali impiegati nella costruzione che, spesso, appartengono a epoche diverse".
In che modo si deve procedere?
"Una fase diagnostica approfondita, che unisca rilievi laser scanner e fotogrammetrici, prove non distruttive (termografia, ultrasuoni, endoscopie), monitoraggi fessurativi e analisi dei materiali, è, inoltre, essenziale per comprendere il comportamento meccanico e la distribuzione delle tensioni, condizione a sua volta indispensabile alla pianificazione di un intervento coerente. Solo dopo aver raggiunto il livello di conoscenza previsto dal progettista, si può iniziare la progettazione vera e propria sia dei rinforzi che delle nuove strutture, avendo cura di salvaguardare il più possibile l'autenticità del monumento".
Quanto abbandono, degrado, inquinamento, cambiamento climatico possono accelerare il deterioramento dei materiali di strutture antiche?
"Tutti questi fattori contribuiscono ad accelerare i processi di deterioramento strutturale. Una struttura antica, come la Torre dei Conti, è un organismo complesso in equilibrio precario tra materia originaria e successive stratificazioni; quando questo equilibrio viene lasciato a se stesso, senza controllo né cura, ogni elemento inizia a degradarsi secondo le proprie vulnerabilità. L'assenza di manutenzione ordinaria, come la pulizia delle grondaie o la riparazione delle coperture, può permettere all'acqua di penetrare, dilavare le malte e innescare instabilità strutturale".
In che modo?
"L'inquinamento atmosferico, con le sue componenti acide, può accelerare la disgregazione dei materiali lapidei; le polveri sottili si depositano nelle microfratture, trattenendo umidità e favorendo colonizzazioni biologiche. Il cambiamento climatico, poi, agisce in modo ancora più insidioso. L'aumento delle temperature e l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi – piogge torrenziali, grandinate, lunghi periodi di siccità seguiti da brusche umidificazioni – sottopongono le strutture a shock igroscopici e termici per cui non sono mai state progettate. I cicli di gelo-disgelo, ad esempio, potrebbero generare micro-fessurazioni nei materiali porosi, mentre le oscillazioni di umidità gonfiano e contraggono legni e malte, aprendo nuovi percorsi all'acqua. Il deterioramento del patrimonio antico non è mai il risultato di un singolo fattore, ma di una convergenza di criticità sistemiche".
Quali le conclusioni?
"L'unica risposta efficace è la prevenzione programmata: monitoraggio continuo, piani di manutenzione ordinaria e strategie di adattamento climatico che integrino il sapere tecnico con una visione culturale della cura. Solo così si può trasformare il degrado inevitabile del tempo in un processo governato, e non subito, con i rischi che abbiamo visto"