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La storia dell'isola di Pasqua

I primi abitanti dell’isola arrivarono dalla Polinesia e dalle Marchesi circa 1500 anni fa su barche simili agli odierni catamarani, cariche di piante e di bestiame. Difficile capire se si trattò di un popolamento in più fasi, perché le chiavi di interpretazione della scrittura ‘pasquana’ (le famose ‘rango rongo’, tavolette di legno incise con segni strani, scoperte nel XIX secolo) non sono state ancora trovate, e la lingua dell’isola è rimasta un mistero.

Anche in ragione del fatto che i ‘Maoris rongo rongo’, l’élite pasquana in grado di decifrare le tavolette, furono deportati dai peruviani nel 1863. Secondo la tradizione orale, comunque, Hotu Matua - un re polinesiano sconfitto nel suo paese - partì alla ricerca di un’altra terra in cui stabilirsi e arrivò a ‘Rapa Nui’. Poiché era l’ultima isola prima di un lungo cammino per mare, Hotu Matua decise di restarci. In realtà, poco o nulla si sa della storia pasquana fra il V e il XVI secolo. Le ondate migratorie forse furono due: quella delle ‘orecchie corte’ e quella delle ‘orecchie lunghe’ (a causa dei pesanti orecchini che le deformavano). La società venne divisa in dieci o dodici tribù che si spartirono l’isola. I ‘moai’, le celeberrime statue di pietra che caratterizzano l’isola di Pasqua, risalgono all’età dell’oro di ‘Rapa Nui’, che va dal XIV al XVII secolo, quando le ‘orecchie lunghe’ sottomisero e fecero schiave le ‘orecchie corte’.

All’epoca l’isola era molto popolata: circa diecimila abitanti. Le difficili condizioni di vita portarono a guerre incessanti per la sopravvivenza fra le tribù: ci furono massacri e poi la rivolta delle ‘orecchie corte’, che sterminarono le ‘orecchie lunghe’ (ne sopravvisse solo una). Tradizionalmente, i vincitori rovesciavano i ‘moai’ che rappresentavano gli avversari con la faccia a terra. Ed è ciò che fecero le ‘orecchie corte’, demolendo senza pietà le effigi degli antichi nemici. Questo spiega come mai i primi navigatori che si avvicinarono all’isola trovarono pochissimi ‘moai’ ancora in piedi. Nel XVIII secolo, comunque, la società pasquana era già in una fase di avanzata decadenza.

Ufficialmente, ‘Rapa Nui’ fu scoperta il giorno di Pasqua del 1722 dall’ammiraglio olandese Jacob Roggeveen. Nel 1770 il viceré del Perù ne prese possesso in nome del re di Spagna. Nel 1774 vi approdò James Cook, nel 1786 La Pérouse. Nella prima metà del XIX secolo vi sbarcarono numerosi avventurieri, a scopo di saccheggio o per prendere degli schiavi. Nel 1863 sei navi peruviane deportarono la maggior parte della popolazione per metterla al lavoro nei giacimenti di guano. Molti isolani furono uccisi o imprigionati, compresi il re e la sua famiglia. In seguito a proteste dei francesi e dei cileni il Perù si decise a liberare i prigionieri, ma nel frattempo l’ottanta per cento di essi era già morta nelle miniere. I pochi sopravvissuti vennero decimati da un’epidemia di vaiolo durante il viaggio di ritorno: gli ultimi quindici superstiti trasmisero la malattia ai pochissimi isolani rimasti in patria.

Nel 1864 su cinquantamila isolani ne restavano vivi solo qualche centinaio. Questa catastrofe comportò anche la distruzione della tradizione orale – e quindi della memoria storica – dell’isola. Nel 1868, per di più, gli archeologi del British Museum s’impadronirono dei più bei ‘moai’ dell’isola e se li portarono in Inghilterra. Vent’anni dopo l’isola di Pasqua, ormai semispopolata, passò sotto il controllo del Cile. Gli abitanti vennero raggruppati ad Hanga Roa, che venne circondata col filo spinato, rendendo i pasquani prigionieri nella loro stessa isola, ridotti nella miseria più nera. Solo nel 1966 i pasquani ottennero il diritto di voto, e la loro esistenza cominciò lentamente a migliorare.