"Provo tanta rabbia e amarezza, stavo cercando di riorganizzare la mia vita, magari spostandomi in una città che non fosse L'Aquila, ma alla luce di questo fatto valuterò seriamente la possibilità di trasferirmi in un Paese che non sia l'Italia". La studentessa laziale stuprata l'11 febbraio in una discoteca dell'Aquilano ha preso questa decisione dopo la concessione degli arresti domiciliari al suo presunto aggressore, il 21enne Francesco Tuccia.
"Non vorrei che un giorno mia figlia potesse dover sopportare e subire tutto quello che sto subendo io e rimanere priva di tutela da parte dello Stato - ha detto la studentessa, spiegando la sua intenzione di lasciare l'Italia -. Non riesco a comprendere il perché di questa decisione dei giudici dell'Aquila".
La 21enne, che non ricorda nulla di quanto le è accaduto, fu trovata svenuta in mezzo alla neve, seminuda e insanguinata, da un addetto alla sicurezza del locale che dette l'allarme. Ciò consentì ai carabinieri di fermare Tuccia - che ha sempre respinto ogni addebito - e tre suoi amici, due militari e una ragazza, peraltro mai iscritti nel registro degli indagati, risultati subito estranei.
Dodici giorni dopo serrate indagini coordinate dal pm della procura dell'Aquila David Mancini, per Tuccia sono scattate le manette. Dopo l'istanza presentata dai difensori di Tuccia, il pronunciamento del Gip Giuseppe Romano Gargarella è arrivato prima del verdetto della Cassazione, in programma il 28 giugno.