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Anastasia Buda: "Non esiste mai un vero punto di arrivo, ma solo continui punti di partenza"

Anastasia Buda, Head of ESG, CSR & Internal Communication di Samsung Electronics Italia, racconta la sua storia ai lettori di Tgcom24

di Carlotta Tenneriello

Anastasia, cosa ti ha spinto ad avvicinarti al mondo della Corporate Social Responsibility?

In Samsung la funzione CSR esiste da circa 12 anni. All’epoca lavoravo nel Marketing della divisione B2B, ma ho sempre pensato che crescere in azienda non significasse solo avere talento, ma piuttosto saper anche cogliere le opportunità e mettersi in gioco. Per questo ho scelto di candidarmi e intraprendere questo percorso: con studio e preparazione, ho trovato il mio modo di interpretare la responsabilità sociale, in coerenza con la Vision dell’azienda e con tanta passione.

Quali sono stati i passaggi fondamentali che ti hanno portata a guidare progetti di responsabilità sociale d’impresa sul territorio nazionale di una realtà come Samsung Italia?

Della nostra azienda ho sempre apprezzato la capacità di ascoltare le idee e di saper cogliere le “onde” che non necessariamente arrivano dall’alto. Credo che in questo campo contino soprattutto autenticità e coerenza: è fondamentale impegnarsi in ciò che sappiamo fare e contribuire nelle aree dove possiamo davvero fare la differenza. Nel caso di Samsung, la ricetta vincente è stata non cambiare mai direzione, ma puntare su un investimento stabile e continuativo nella formazione. Perché proprio la formazione? Perché in Samsung, prima ancora di fare tecnologia, facciamo innovazione. E l’innovazione nasce dalla conoscenza, che possiamo acquisire e diffondere, soprattutto attraverso la formazione. Restituire valore alla comunità significa quindi portare il nostro contributo nelle aree in cui possiamo offrire reale competenza e generare impatto.

Cosa significa per te lavorare in questo ambito professionale in un contesto così dinamico e globale?

Significa riconoscere che non esiste mai un vero punto di arrivo, ma solo continui punti di partenza. Le dinamiche e le priorità cambiano, così come il mondo della formazione e quello dei futuri adulti e adolescenti: per questo abbiamo il dovere di restare in costante ascolto dei bisogni della comunità. Questo concetto di dinamismo assume ancora più forza se applicato a un’azienda leader nella Consumer Electronics come Samsung. Velocità, orientamento al risultato e capacità di intercettare i bisogni del consumatore sono da sempre le premesse fondamentali per un’azienda proiettata al futuro. Ciò che amo di più di questo contesto non è soltanto la velocità o la necessità di cambiare e apprendere continuamente, ma anche l’apertura verso il mondo che deriva dall’essere un’azienda globale: un approccio che arricchisce e stimola costantemente la nostra visione.

Oggi la sostenibilità non è solo azione concreta, ma anche narrazione: quanto conta comunicare bene l’impegno sociale di un’azienda tecnologica?

Da “non diplomatica” direi di petto che la narrazione conta tutto. Se conto fino a dieci, rispondo che conta molto, ma non tutto. La responsabilità sociale non è fatta di proclami, ma di azioni concrete, misurabili e autentiche, capaci di rispondere a un bisogno reale della comunità. Comunicare ciò che si fa non è un peccato, anzi: è un dovere. Se non lo facessimo, nessuno lo saprebbe e questo, dal punto di vista imprenditoriale, non sarebbe sostenibile. Quando lavoro su un progetto di responsabilità sociale, i passaggi che seguo sono sempre gli stessi: esiste davvero un problema? Lo conosciamo a fondo? Possiamo essere rilevanti e incidere concretamente per mitigarne gli effetti? Se la risposta è sì, allora si può costruire un buon progetto, accompagnato da una altrettanto buona comunicazione.

Samsung è un brand globale: come si traduce a livello italiano l’impegno ESG e quali progetti ti stanno più a cuore?

Amo profondamente tutti i progetti ESG che abbiamo sviluppato negli anni. Il tema della formazione è da sempre al centro del nostro impegno: ci ha permesso di incontrare migliaia di bambini, ragazzi e giovani adulti, lavorando con loro sulle competenze digitali, sulle soft skills, sulla prevenzione del cyberbullismo, sul galateo digitale, fino ad arrivare oggi a temi come l’AI e l’etica dell’intelligenza artificiale. Entrare in aula per me è sempre un’esperienza che arricchisce. Accanto a questo percorso, un posto speciale nel mio cuore lo occupa Women Run the Show, progetto realizzato con Telefono Rosa per restituire autonomia e reintegro nella comunità a donne vittime di violenza. La violenza economica – negare il lavoro, lo studio, l’indipendenza – è una delle armi più forti che un uomo violento usa contro le proprie vittime. Formare queste donne perché attraverso il lavoro potessero riconquistare dignità e indipendenza è stato un progetto complesso, ma fondamentale. Ho voluto ascoltare una per una le loro storie, parlare con loro, capire da vicino cosa significhi davvero violenza di genere. Women Run the Show, come tanti altri progetti di responsabilità sociale che ho seguito, hanno tirato fuori un’empatia che forse avevo sempre avuto, ma che lì è emersa con forza nuova.

Quali sono le sfide e le soddisfazioni nell’essere alla guida di un team in una multinazionale tecnologica?

Sfide tante, soddisfazioni altrettante. Prima di tutto, l’espressione “guida di un team in una multinazionale” mi fa sentire vecchia e, lo ammetto, anche un po’ presuntuosa. Non mi sento alla guida di nulla: termini come Manager o Dirigente mi stanno stretti. In fondo, “to manage” significa gestire, e credo che nessuno di noi abbia davvero voglia di essere gestito. Per questo ho sempre dedicato molto tempo alla scelta delle persone con cui lavorare: ho cercato occhi che brillassero, persone migliori di me, complementari, capaci di arricchirmi. Se posso parlare di successo, lo devo a loro. La sfida più grande è non deludere chi lavora al mio fianco, far percepire che l’autenticità non la perdo mai. La mia soddisfazione più grande è non aver dovuto fingere di essere diversa da ciò che sono. 

Che valore aggiunto pensi possa portare una leadership femminile in un settore ancora competitivo e veloce come quello tech?

Le differenze tra uomo e donna esistono, ma non credo siano queste a rendere più o meno efficace una leadership. Esiste il leader, esiste colui o colei che è guidato da un obiettivo più alto del proprio tornaconto personale, esiste chi ha voglia di creare qualcosa di importante e che sa di poterlo fare solo giocando in squadra. Esiste colui o colei che comprende che ogni giocatore della propria squadra ha i propri talenti e le proprie fragilità e che comprende quanto sia importante e al contempo arricchente essere per loro una guida. Per me essere guida significa essere onesti, anche quando l’onestà diventa fastidiosa. Spero che l’onestà non abbia a che fare con il genere e che l’invidia smetta di essere un “sostantivo femminile”.  

Riuscire a conciliare un ruolo di grande responsabilità con la vita privata non è semplice: qual è la tua strategia per trovare un equilibrio soddisfacente?

Sono una persona alla costante ricerca di equilibrio, anche se devo ammettere che, a volte, l’equilibrio mi annoia. Una mia cara amica una volta mi disse: “tu stai bene solo nel mare in tempesta”. Oggi, per fortuna, non è più solo tempesta: credo di aver trovato un equilibrio, accompagnato da una buona dose di autostima. Nella mia tesi di laurea citai una frase di Niccolò Fabi: “Crescere significa sapere rinunciare alla perfezione”. Oggi, a 45 anni, la riformulerei così: “crescere significa accettare di non poter piacere a tutti”.

Qualcosa su di te per i nostri lettori: oltre alla professionista, a cosa non potresti mai rinunciare e perché?

Ovviamente non potrei mai rinunciare ai miei figli e alla mia famiglia. Senza il supporto del partner, tutto diventa più difficile: ci si sente soli, a volte inadeguati, e in alcuni casi si finisce per rinunciare a qualcosa. Io non ho mai dovuto scegliere tra lavoro e vita privata. Per i miei figli, una mamma che lavora, che viaggia, che spesso dimentica o ignora la spesa, non è una mamma “difettata”. A parte la famiglia, non potrei rinunciare al mio cane e ai miei tre gatti. E non dimentichiamo lo sport, da sempre per me più cura della mente che del corpo.