"Non è un film". E' la realtà tragica di chi cerca una speranza in un Paese diverso per un futuro migliore. A raccontarla sono Fiorella Mannoia e Frankie Hi-NRG in un duetto tra i candidati al Premio Amnesty 2012, alla canzone che più ha suscitato emozioni nel toccare il tema dei diritti umani. "In fondo questi nostri fratelli immigrati sono come invisibili - dice la Mannoia a Tgcom24 -, vivono intorno a noi, spesso non li guardiamo negli occhi".
Il premio sarà assegnato il 22 luglio da una giuria specializzata che sceglierà tra dieci pezzi. I candidati sono Teresa De Sio (“Brigantessa), Caparezza (“Non siete Stato voi”), Jovanotti (“Io danzo”), Assalti Frontali (“Sono cool questi Rom”), Bandabardò (“Un Paese cortigiano”), Cesare Basile (“L’impiccata”), Simona Molinari (“La donna di plastica”), Negrita (“Fuori controllo”) e Susanna Parigi (“Crudo”). Oltre naturalmente a Fiorella Mannoia e Frankie. “Questa candidatura è una bellissima sorpresa, non ci pensavo proprio – dice lei -. Siamo entrambi molto contenti”.
Come è nato questo vostro duetto?
Era tempo che inseguivo Frankie perché ha un modo di scrivere che mi piace molto e il sistema del mio ultimo disco, “Sud”, si prestava a parlare di immigrazione perché quando si parla di sud non si può non parlare di migrazione di popoli. Ci siamo parlati sviscerando ciò che pensavamo, trovando punti di contatto e tempo quindici giorni mi ha proposto questo pezzo.
Frankie, il pezzo ti è stato ispirato da qualche avvenimento in particolare o è cresciuto nel tempo nella tua mente?
Le mie canzoni sono il frtutto di un carotaggio dalla sedimentazione nel nostro Paese. La situazione ristagna, si sedimenta, si mescola e io ne estraggo una parte che diventa il fulcro del racconto. Questa è “Non è un film”. Si parla dell’immigrazione, di come il mondo dell’informazione crea nuovi mostri per gridare al lupo. Come tutte le mie canzoni è un documentario che cerca di guardare dentro alla realtà.
L’altra notizia è che in questo brano per la prima volta Fiorella rappa...
Per cantare questo pezzo avrei fatto qualunque cosa. Alla fine siamo giunti a un compromesso. Non lo chiamo rap perché non so rappare, non mi azzardo. Vorrei anzi rassicurare i puristi del rap che si sono subito incazzati all’idea che volessi invadere il campo: non rappo, mi piace chiamare quello che faccio una recitazione sul tempo. Poi quando entra Frankie la differenza si sente...
Frankie: Io le ho detto che le avrei scritto un rap e lei mi ha risposto: “Ok, tu rappi e io faccio un pezzo cantato”. Al ché le ho ribattuto: “Non hai capito! Adesso tu rappi”. Ed è brava, proprio brava. Per me il rap ha una nuova stella.
Questi sono tempi molto veloci e distratti, pensate che la musica possa avere ancora una forte funzione sociale e politica?
Fiorella: Quando canti qualcosa che ha un argomento così importante è come se lanciassi una voce che fa eco. Alcuni la sentono, qualcuno si gira e la riconosce. Noi dobbiamo puntare a chi ha voglia di ascoltarla. Non ho la pretesa o la presunzione di far cambiare opinione a chicchesia. Cerco di cantare quello che penso, poi se incontro qualcuno che la pensa come me o riesco a far venire un dubbio anche solo a una persona, vuol dire che ho già fatto tanto.
Frankie: Credo che la musica sia uno dei pochi ultimi strumenti a disposizione per poter smuovere le coscienze. È una forma di comunicazione archetipa e quindi rievoca cose di cui ci sembra di non essere mai stati testimoni ma di cui in realtà siamo stati, nei nostri passati e nei passati dei nostri antenati, più che protagonisti. Attraverso una comunicazione musicale ed artistica si riesce a comunicare molto meglio che non con altri mezzi.
Fiorella, il nostro è sempre stato visto come un Paese ricco, meta di chi sperava in un futuro migliore, e spesso questi immigrati sono stati trattati con diffidenza o disprezzo. Ora anche noi ci troviamo in una profonda crisi, quasi in una sorta di contrappasso. Cosa ne pensi?
Ho iniziato a partorire l’idea di un disco che parlasse di sud più di un anno fa. Erano ancora lontani la primavera araba o il movimento del sud Italia, non potevo nemmeno immaginare che sarebbe successo quel che è successo. Questo è un disco di fratellanza. Non bisogna demonizzare la paura, è un sentimento normale come è normale che la prima reazione di fronte all’arrivo di persone di lingua, colore o religione diverse, sia la diffidenza. Ciò che mi fa orrore è il cavalcare questa diffidenza per cercare di mettere gli essere umani gli uni contro gli altri. Seminare odio è una forma di terrorismo pari a quella di chi mette le bombe. Il mondo, che ci piaccia o no, è destinato a essere multirazziale quindi tanto vale predisporci all’accoglienza perché questo sarà il futuro, nessuna legge potrà fermare i popoli che sognano un futuro migliore, compreso il nostro.