Il Dipartimento di Stato Usa ha aggiunto per la prima volta il Vaticano a una lista di altri 67 Paesi potenzialmente suscettibili al riciclaggio del denaro. Nel rapporto sulla strategia per il controllo del narcotraffico, il governo Usa inserisce la Santa Sede nella categoria dedicata ai Paesi con "giurisdizioni preoccupanti" come Albania e Corea del Sud. Questa categoria è di un livello inferiore a quella con Paesi che destano "estremo allarme".
Per gli Stati Uniti, dunque, la Santa Sede presenta lo stesso rischio di Albania, Repubblica Ceca, Egitto, Corea del Sud, Malaysia, Vietnam e Yemen. Appena un gradino sotto rispetto alla black list che comprende Afghanistan, Australia, Brasile, Isole Cayman, Cina, Giappone, Russia, Gran Bretagna, gli stessi Stati Uniti, Uruguay, e Zimbabwe.
Una situazione che ha messo in forte imbarazzo lo Stato pontificio, subito corso ai ripari. Dal suo canto il Vaticano, ha spiegato un funzionario del dipartimento Usa che ha voluto rimanere anonimo, ha varato per la prima volta nel 2011 un programma anti-riciclaggio, ma occorrerà un anno per capire quanto sia efficace ed è dunque "potenzialmente vulnerabile" al problema a causa della massiccio afflusso di denaro che circola tra la Santa Sede e il resto del mondo.
Della questione si è interessato anche Benedetto XVI, che il 30 dicembre del 2010 ha creato l'Autorità per l'Informazione Finanziaria, che dovrebbe consentire al Vaticano di mettersi in linea con le norme internazionali di lotta al riciclaggio del denaro e finanziamento del terrorismo.