Nel 2001, quando le misure imposte dal fondo monetario internazionale spingono l’Argentina verso il default, milioni di persone verso la povertà e centinaia verso la morte per fame, molti imprenditori si comportano come tanti Schettino: lasciano naufragare centinaia di fabbriche, zavorrate dai debiti, pensando solo a sottrarre qualche macchina alle procedure fallimentari.
"Il padrone voleva portare via le macchine e venderle o usarle per lavorare da qualche altra parte, anziché pagare i creditori - racconta un operaio alla collega Elvira Corona – in questo senso era una frode. In effetti c’era la crisi, lui non guadagnava più quanto voleva, i profitti si erano ridotti. Però è certo che, se avesse voluto, avrebbe potuto salvare l’impresa. Invece ne aveva pianificato la chiusura già da due anni, in modo da non perdere nulla. Parliamo di una persona anziana, che non aveva figli, e non gli importava di lasciare gli operai sul lastrico. Quello era il modo più facile, secondo lui, per uscire di scena e ritirarsi da tutto".
E’ a questo punto che i dipendenti di alcune fabbriche, certi che la crisi non gli avrebbe offerto nessun altro lavoro, decidono di prendere in mano la gestione delle medesime, investendoci tutti i risparmi, lavorando notte e giorno, presidiando le macchine con mogli e figli e alla fine, in oltre 200 casi, riuscendo a salvarle e a rimetterle sul mercato. La storia delle “Ert” , le “Empresas recuperadas por los trabajadores“, cioè le imprese argentine recuperate dai loro dipendenti, oltre a offrire un’esperienza umana ed economica interessantissima, sarebbe perfetta per un film dei fratelli Dardenne o per “Storie di confine”, ma per restituire allo spettatore anche gli elementi di commedia popolare che hanno accompagnato il fenomeno ci vorrebbe la penna di Tatti Sanguineti e la camerina che usava Comencini, prima di tagliare l’ultima sequenza della sua vita, saltando giù da un balcone.
Per ora queste storie sono raccolte in un libro di Elvira Corona che si intitola LAVORARE SENZA PADRONI. Viaggio nelle imprese «recuperadas» d’Argentina (Emi editore 2011). Caratteristica comune delle “Empresas recuperadas”, il movimento che ha permesso di salvare oltre 9000 posti di lavoro, è il carattere collegiale delle decisioni, una relativa omogeneità di stipendi - impossibile trovare un Marchionne che guadagna 400 volte il salario di un dipendente - e la rete di relazioni che le cooperative hanno intessuto con il resto della comunità.
Esemplare e anche molto divertente è il caso della tipografia ”Chilavert“ di Buenos Aires. Quando arriva in forze la polizia, gli operai riescono a tenere la tipografia grazie all’ appoggio del quartiere. "C’erano circa duecento vicini che si mobilitarono immediatamente per difenderci" racconta a Elvira Corona Ernesto Gonzalez. "La tv parlava di noi, facevamo notizia, di fatto in quel momento già potevamo mangiare, stavamo riprendendo a lavorare".
Uno degli sgomberi, inizia mentre la cooperativa sta stampando un libro. “Ci proibivano di far uscire o entrare qualsiasi cosa dalla fabbrica – dice Ernesto - c’erano poliziotti da qui fino a due isolati e non potevamo far passare i camion con le materie prime, né con i prodotti finiti. Non sapevamo come consegnare il libro a cui stavamo lavorando, e fu allora che il nostro vicino ci disse: 'Rompete questa parete e fate passare i libri da qui. Se passate dal tetto vi vedranno, da qui nessuno se ne accorgerà' ". Grazie al passaggio creato rompendo il muro del vicino gli “insorti” riescono a consegnare il lavoro al cliente nei tempi stabiliti. Una lettura che alle operaie della Omsa o dell’Alcoa farebbe venire molti pensieri. Il 90% delle “empresas recuperadas” sono sopravvissute alla crisi e godono di buona salute.