Lavoro e politiche attive, le 10 proposte di Assolavoro

In Italia, a parte isolate esperienze e best practice, manca un quadro definito di politiche attive per il lavoro, che sono invece fondamentali per allineare domanda e offerta di lavoro. Ecco come si può procedere per raggiungere l’obiettivo

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Il tema delle politiche attive per il lavoro in Italia è tra i più dibattuti da anni. Si tratta dell’insieme di misure e strumenti studiati sia per il reinserimento di disoccupati nel mercato del lavoro, sia, soprattutto, per la formazione dei lavoratori in termini di upskilling (cioè la crescita delle competenze) e di reskilling (cioè la riqualificazione professionale). Pratiche necessarie, sottolinea un recente studio di Assolombarda e Adapt, per allineare i percorsi di carriera dei lavoratori “con i processi di riorganizzazione che le imprese sempre più spesso devono affrontare nel corso di profonde transizioni verso il digitale e l’economia green. Le politiche attive devono, in questa prospettiva, seguire una logica anticipatoria, non riparatoria, e rivolgersi a tutti i lavoratori”.

In Italia però, prosegue il report, “salvo qualche isolata esperienza e buona prassi”, oggi manca “un vero e proprio sistema di politiche attive”. E in quest’ottica le best practice nazionali e internazionali suggeriscono di sviluppare le politiche attive del Paese “secondo una logica territoriale e con un nuovo protagonismo degli operatori privati”. Che sono senza dubbio gli attori delle relazioni industriali ma anche le Agenzie per il Lavoro. In questo contesto Assolavoro, l’associazione che riunisce le Agenzie per il Lavoro italiane, forte della propria esperienza e dei risultati ottenuti nei 25 anni dal Pacchetto Treu (che ha regolato il lavoro interinale, la cui eredità è stata raccolta nel 2003 dal lavoro in somministrazione), ha elaborato 10 proposte per la realizzazione di politiche attive vincenti nel nostro Paese.

Le proposte vanno dalla definizione di un’unica cornice nazionale, per evitare la proliferazione di sistemi regionali differenti, alla valorizzazione della somministrazione di lavoro, che si è rivelata un valido sistema di accesso al mondo del lavoro e di inserimento stabile dei lavoratori. Ma, secondo Assolavoro, andrebbero aggiornati i Livelli essenziali delle Prestazioni e delle Unità di costo standard definiti dal ministero per adeguarli a costi e investimenti sostenuti dagli operatori privati, e soprattutto bisognerebbe definire quali servizi offrire con la finalità di centrare l’obiettivo occupazionale.

Inoltre, sottolinea Assolavoro nelle sue 10 proposte, bisognerebbe prevedere una profilazione qualitativa, e non solo quantitativa, dei lavoratori disoccupati, per consentire la definizione di percorsi ad hoc, valorizzando non solo il risultato (cioè il raggiungimento dell’occupazione) ma anche il processo di sviluppo delle competenze in grado di avvicinare la  persona al mercato del lavoro. E in quest’ottica andrebbero valorizzate anche le esperienze lavorative “brevi”.

Infine, Assolavoro sottolinea l'importanza della formazione, che andrebbe studiata e tarata sulle reali esigenze aziendali, con il coinvolgimento degli operatori del mercato del lavoro per la costruzione di piani formativi di reskilling e upskilling. E, per migliorare il sistema, bisognerebbe inserire un sistema di valutazione dell’efficacia dei servizi a livello nazionale, in modo da favorire l’emergere delle best practice sul territorio.

Ecco, nello specifico, le 10 proposte di Assolavoro per la formulazione di politiche attive vincenti.

  1. Definire una cornice unica nazionale. Le Agenzie per il Lavoro sono parte integrante e attore qualificato della “rete dei servizi per il lavoro”, non solo a livello regionale ma anche a livello nazionale. Per il loro radicamento su gran parte del territorio nazionale possono partecipare attivamente all’attuazione degli interventi previsti da GOL (output di servizio, indicatori di risultato). A livello regionale sono pronte a contribuire alla definizione delle regole di collaborazione con i Centri per l’Impiego e - a regole definite - all’operatività. La presenza di una cornice unica nazionale favorisce e semplifica la definizione di politiche attive efficaci, evitando la proliferazione di tanti differenti sistemi regionali.
  2. Valorizzare la somministrazione di lavoro nei percorsi di politica attiva. Nell’ambito dei programmi di politica attiva, si propone di valorizzare il contratto di somministrazione come istituto di valore e fortemente tutelante che può contribuire più di altri strumenti (vedi contratti a termine o tirocini) a un inserimento stabile, qualificato e duraturo delle persone nel mondo del lavoro.
  3. Aggiornare I livelli essenziali delle prestazioni e delle unità di costo standard. La sostenibilità dell’ingaggio delle Agenzie per il Lavoro passa anche attraverso la revisione dei Livelli essenziali delle Prestazioni (LEP) e delle Unità di costo standard (UCS), per adeguarli ai reali costi e investimenti sostenuti e da effettuare dagli operatori privati al fine di garantire operatività, efficienza, presenza territoriale ed efficacia dei servizi offerti.
  4. Definire I servizi finalizzati all’occupazione. L’efficacia delle politiche attive è subordinata alla centralità dell’obiettivo occupazionale come driver per i servizi offerti a tutte le categorie di destinatari previste, con gradualità differente, compresa la formazione.
  5. Prevedere una profilazione qualitativa oltre a quella quantitativa. La presa in carico dei destinatari di misure di politica attiva deve prevedere, accanto a strumenti quantitativi, una profilazione di natura qualitativa del beneficiario per consentire la definizione di percorsi sulle base della vicinanza – lontananza della persona dal mondo del lavoro. L’operatore deve avere margine di autonomia per costruire al meglio e in maniera più adeguata alle specificità il pacchetto di servizi necessari nella fase di contatto con il disoccupato.
  6. Valorizzare il processo oltre che il risultato. Gli interventi di politica attiva devono essere declinati anche sulla base delle competenze sviluppate dal beneficiario nel percorso individuato. In mercati del lavoro sempre più “transizionali” infatti non solo è il risultato occupazionale in sé la misura del valore di una politica attiva, ma anche la capacità di sviluppare competenze in grado avvicinare la persona al mercato del lavoro anche in fasi successive alla conclusione del percorso.
  7. Valorizzare anche le esperienze lavorative “brevi”. In questa logica sono da valorizzare anche le esperienze lavorative “brevi” che, se adeguatamente seguite e tutorate, possono rappresentare importanti occasioni di riattivazione della persona, in particolare se è inserita in un contesto di servizi che assistano le transizioni, qual è quello garantito dalle Agenzie per il Lavoro.
  8. Tarare la formazione sulle esigenze reali. La formazione va guidata dai servizi per il lavoro e orientata al percorso di inserimento/reinserimento lavorativo concordato con il lavoratore e tarata sui fabbisogni aziendali. Oltre alla formazione lunga di riconversione, la risposta ai fabbisogni delle imprese richiede una formazione flessibile, breve ed immediata. Ambedue sono strumentali al percorso verso l’occupazione, quindi l’elemento determinante e dirimente è il servizio per il lavoro, definito assieme al lavoratore lungo un percorso di sapiente accompagnamento nella sua realizzazione.
  9. Collegare in maniera sistematica le azioni con rilevazioni e proiezioni dei fabbisogni delle imprese. Occorre puntare sulla definizione di un modello permanente e sistematico, anche a focalizzazione territoriale, per l’individuazione dei fabbisogni delle imprese, con il coinvolgimento degli operatori del mercato del lavoro e la costruzione di piani formativi di reskilling e upskilling.
  10. Definire un sistema di valutazione dell’efficacia dei servizi. Si propone di implementare un modello di valutazione dell’efficacia dei servizi a livello nazionale, anche con rating degli operatori nella logica del miglioramento continuo. Il rating può riguardare tutti gli erogatori di servizi per il lavoro, sia pubblici che privati, e può favorire più agevolmente anche l’emersione delle best practice sul piano territoriale.