Quando nel 1992 esplose il 3D con Virtua Racing

Dal papà di Out Run un gioco che ha cambiato la storia.

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Di questi tempi Yu Suzuki è impegnato anima e corpo nel dare vita al sogno che ha cullato negli ultimi vent’anni scarsi: completare il terzo capitolo di Shenmue. Una delle tante scommesse che hanno caratterizzato la carriera di quello che è un autentico pioniere del mondo dei videogiochi, nonché un vero luminare. Purtroppo finito nell’ombra, perdonate il gioco di parole, proprio dopo la complicata vicenda dei primi episodi di Shenmue, un’avventura gigantesca e semplicemente troppo dispendiosa per l’epoca (1999/2000).

Se la stella di Yu Suzuki tornerà a brillare come merita non è ancora dato saperlo, quel che è certo è che nessuno può cancellare dalla memoria collettiva di un paio di generazioni di videogiocatori quel che ha fatto. E nel 1992 si “consumò” l’ennesimo trionfo di Suzuki, allora ancora saldamente tra le fila di Sega, di cui guidava il team Am2 responsabile di alcuni veri e propri classici. Solo sei anni distanziano OutRun (1986) da Virtua Racing, il gioco a cui si fa riferimento, eppure pare passato un decennio.

Se le corse sulle Ferrari Testarossa, vero pallino di Suzuki, con il vento tra i capelli, avevano celebrato la tecnologia di Sega costruita sulle due dimensioni e sulla gestione magistrale dei pixel, Virtua Racing prende in prestito le suggestioni della Formula Uno per procedere spedito verso il futuro: la grafica 3D. Non era di certo il primo gioco a provarci, ma è senza alcun dubbio quello che è riuscito a convincere definitivamente tutti su quali fossero le potenzialità dei poligoni. Anche nudi e crudi come appaiono in Virtua Racing che, spinto da un hardware all’avanguardia, si beava di un’aggiornamento dello schermo a sessanta quadri al secondo. La “salsa” perfetta sul piatto di Am2, quella che serviva per dare ancor di più l’illusione della realtà.

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Virtua Racing si fa conoscere in sala giochi, accompagnato da un cabinato doppio che non lascia spazio all’immaginazione, con la possibilità di collegare fino a quattro postazioni così da ospitare scontri per un massimo di otto giocatori. Nel gioco, per la prima volta, fa bella presenza la selezione della telecamera da utilizzare, attraverso quattro pulsanti colorati a lato del volante. E anche qui si è fatta la storia.

Solo tre tracciati, ma sensazioni indimenticabili per chiunque li abbia percorsi a velocità folle in quei primi anni novanta. Virtua Racing non si dilungava poi in molto altro, offrendo in quella sua prima versione un unico modello di auto e naturalmente solo le gare secche. Ma dopotutto stiamo pur sempre parlando di un coin-op, pensato per ingoiare gettoni quanto più velocemente possibile in sala giochi.

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Il successo fu tale che nacque una serie di giochi dallo stesso prefisso: Virtua. Il più celebre rimarrà probabilmente Virtua Fighter, che solo un anno dopo ridefinì con la stessa potenza ed eleganza l’idea del picchiaduro a incontri, colorando improvvisamente di bianco la barba di Ryu (Street Fighter II). La creatura di Suzuki verrà addirittura convertita per il “povero” Mega Drive, grazie all’utilizzo di un chip ausiliario inserito nella cartuccia, che la renderà oltremodo costosa. Poi sarà la volta di un certo numero di altre edizioni, tutte prevedibilmente più vicine a quella originale perché in grado di sfruttare console più potenti (tra cui il Saturn della stessa Sega).

Oggi i giochi di corse dal taglio più smaccatamente arcade ed essenziale non stanno conoscendo un periodo di particolare successo. E se fosse Suzuki a pensarci, dopo aver concluso i lavori su Shenmue?