Davide Oldani a Tgcom24: "La cucina deve tornare a guardare la tradizione"
Dopo essersi portato a casa 4 cappelli nella guida l'Espresso ed essersi piazzato 27esimo nella classifica dei 300 cuochi migliori del mondo, lo chef stellato commenta i risultati appena raggiunti
Nell'universo degli chef stellati si sono appena conclusi due appuntamenti molto attesi: da un lato a Firenze la presentazione de Le Guide dell'Espresso 2019, dall'altro a Milano la cerimonia The Best Chef Awards. In entrambi i casi per Davide Oldani è stato un successo. Il D'O, il suo ristorante, si è portato a casa quattro cappelli nella guida e lui, chef stellato, si è piazzato 27esimo nella classifica dei 300 cuochi migliori del mondo. Ma Oldani rimane con i piedi per terra: "Sono molto contento, ma è merito di tutta la squadra. Non è Davide a essere stato premiato, ma tutto il team", ha commentato a Tgcom24. E poi ha svelato il segreto del suo successo...
Prima di tutto chef, le chiedo un commento su questi importanti riconoscimenti. Siete contenti? Ve lo aspettavate?
Penso che le guide abbiano premiato un lavoro fatto con qualità. Dopo due anni e mezzo dall'apertura del nuovo D'O sia i clienti che i critici si sono accorti che avevamo messo una marcia in più:
abbiamo coniugato qualità con ospitalità e questo ci ha permesso di avere successo. Siamo molto contenti, ma non è solo Oldani, è merito di tutto il team.
D'O significa squadra.
Quali sono gli obiettivi futuri?
Per quanto riguarda riconoscimenti imminenti non voglio dire nulla per scaramanzia. In generale invece voglio coinvolgere di più i miei ragazzi e investire sulla scuola alberghiera Olmo di Cornaredo con la quale collaboro. Ci sono tanti giovani promettenti lì e mi piacerebbe trasmettere loro la mia esperienza.
Dall'apertura del primo D'O sono passati ormai 15 anni e in tutto questo tempo la sua fama non ha fatto altro che crescere. Qual è il segreto del suo successo?
Serietà, impegno, sacrificio e rispetto per gli altri: dai collaboratori agli ospiti. Ho fondato la mia cucina sulla tradizione e penso ancora che sia la scelta giusta. E' importantissima la qualità delle materie prime, una grande guida è seguire la stagionalità dei prodotti.
Ieri la cucina guardava alla Francia, oggi all'Oriente, come sarà la cucina del domani?
Sarà la cucina del cuoco, del team che cucinerà i prodotti del territorio valorizzando la materia prima. Le influenze possono esserci, ma è importante lavorare sul territorio perché il nostro territorio, in particolare, ha molto da offrire. La cucina italiana rimane una delle migliori del mondo e devo dire che in Italia, rispetto a 30 anni fa quando ho iniziato io, sono stati fatti progressi enormi: ci sono davvero tanti grandi cuochi.
Lei fa parte della scuola di Gualtiero Marchesi, scomparso lo scorso dicembre, si sente un po' il suo erede?
Se sono o meno l'erede devono essere gli altri a dirlo. Quello che posso dire è che
Gualtiero Marchesi era per me un secondo padre.
Invece c'è oggi secondo lei tra gli chef emergenti un Oldani di domani?
Io spero di no (ride
ndr.). Ma perché ognuno di noi è diverso. E' come dire se domani ci sarà un altro Messi. L'uomo non è uno stampo che viene riprodotto. Ci saranno sicuramente dei cuochi bravi, forse più bravi di me, ma diversi, con altre attitudini. Quello che consiglio comunque a chi vuole diventare chef è di non pensare che la cucina è quella che si vede nei programmi tv, la cucina è altro, è grande sacrificio. Per diventare cuochi bisogna studiare tanto, avere un criterio e applicarsi con costanza.