Nintendo: non chiamateli giochi per bambini
Nessuno meglio di Nintendo sa vivere di cerchiobottismo se si parla di difficoltà nei videogiochi, ma qualcosa sta cambiando
L’idea comune è che Nintendo realizzi giochi “per bambini” ed è lo stile delle produzioni del colosso giapponese a trasmettere una simile convinzione. Colorati, spesso apparentemente innocui, lontani dall’approccio più tipicamente occidentale e quasi sempre incapaci di infilare fucili o scene di violenza digitale particolarmente esplicita. C’è poi la comunicazione stessa di Nintendo che si sofferma volentieri sulla propria filosofia tutta sorrisi e buoni sentimenti.
In realtà la questione è più complessa ed è direttamente legata al larghissimo bacino di utenza a cui Nintendo si deve per forza di cose rivolgere. Nessuno ha un pubblico demograficamente così espanso e complicato come quello dell’etichetta di Kyoto. C’è chi ha cominciato a giocare con il NES trent’anni fa e non ha più smesso, così come c’è chi scopre oggi un Nintendo 3DS grazie al regalo di uno zio o di un papà e inizia la sua avventura con i videogiochi. Il nuovo Mario, il nuovo Zelda, il nuovo Donkey Kong devono essere capaci di parlare a uno e all’altro. A chi ha già masticato e digerito da lustri le idee di game design e i meccanismi di gioco… ma anche a chi li scopre per la prima volta.
Per questo una decina di anni fa Nintendo ha prima teorizzato e poi tramutato in realtà l’idea degli aiuti all’interno dei giochi, una via essenziale che le ha consentito di inserire un livello di sfida interessante anche per chi ha già salvato la principessa Peach decine di volte, senza per questo risultare inaccessibile per i giocatori di primissimo pelo. Spesso Nintendo è riuscita nell’intento di stratificare con successo i suoi videogiochi. Super Mario Odyssey può essere finito, arrivando ai titoli di coda, senza dover sudare settanta camicie. Per completarlo, raccogliendo ogni singola luna e scoprendo così tutti i risvolti di ogni mondo e dei suoi meccanismi, servono abilità decisamente al di sopra della media.
Giocatori con un po’ di anni sulle spalle sanno bene che Nintendo non realizza giochi strutturalmente pensati solo per un pubblico giovane, ma che possono comunque essere facilmente venduti anche a una fascia di neo-appassionati (e goduti dalla stessa, come detto). Questo non toglie che di esperienze più impegnative ne siano state sfornate anche a quelle latitudini: Donkey Kong Country Tropical Freeze, disponibile da qualche mese anche su Switch, è un esempio perfetto e l’intera saga di Metroid non può generalmente definirsi una semplice passeggiata di salute. Come già sottolineato, quello che da dieci anni è riuscito sorprendentemente bene, nonostante qualche raro passaggio a vuoto, a Nintendo è di consentire due approcci differenti a seconda di chi si sedeva di fronte al gioco.
In queste ultime settimane, però, qualcosa sembra essere cambiato. Mario Tennis Aces, pubblicato in questi giorni per Switch, propone una modalità Avventura in cui l’idraulico si trova ad affrontare nemici e prove di varia natura, con la racchetta da tennis tra le mani. C’è ovviamente la dimensione più basilare del gioco, che rimane quella legata alle semplici partite con o contro amici e sconosciuti online o al proprio fianco sul divano. Ma la modalità Avventura di Mario Tennis Aces vuole evidentemente arricchire l’offerta mettendo sul piatto un percorso meno prevedibile e più impegnativo. Anche troppo, considerando come in alcuni passaggi si sfiori senza esagerare la frustrazione. E quando un gioco da impegnativo diventa fastidioso, vuol dire che si è persa un po’ la bussola e il giusto bilanciamento in fase di sviluppo.
Qualcosa di molto simile può essere detto della Octo Expansion di Splatoon 2. Uno dei giochi di maggior successo della storia recente di Nintendo, pubblicato un anno fa, ha visto atterrare a metà giugno un’espansione pensata unicamente per il singolo giocatore (e non gli scontri con altri partecipanti online, come succede principalmente in Splatoon 2). Il risultato è interessante e pieno di trovate, ma anche in questo caso scivola più volte in territori fin troppo esigenti.
Nintendo sta forse perdendo quel tocco che le ha permesso di muoversi con relativa tranquillità e tanta saggezza all’interno del complesso mondo dei bilanciamenti? Delle esperienze di gioco capaci di vendersi agli uni e agli altri, senza sacrificare per davvero nessuno? Dando retta a questi due ultimi casi verrebbe da rispondere che è così. E
non si può fare a meno di ipotizzare che questa deriva abbia a che fare con la voglia anche dei giocatori più esperti di situazioni di gioco estreme, quelle riportate in auge dalla serie Dark Souls di Bandai Namco o dalla scena indipendente più in generale. Il 13 luglio arriverà su Switch Octopath Traveler, un gioco di ruolo tipicamente giapponese realizzato non da Nintendo, ma eslcusivamente per la sua console da Square Enix (la “casa” di Final Fantasy). Anche in questo caso il gioco promette un tasso di difficoltà nettamente al di sopra della media. Non solo di quella dei titoli marchiati Nintendo, sia chiaro.
Tutti devono avere qualcosa alla loro portata, questo è chiaro. Ma da un nome come Nintendo ci si aspetta che continui a saper maneggiare i propri universi e i propri brand con quella oculatezza, capacità e quel dinamismo che le hanno dato modo di parlare a (quasi) ogni fascia di pubblico,
senza alienarsene alcuna. È difficile, in pochi ci riescono, ma è per questo che solitamente i giochi pubblicati da Nintendo riescono a rivelarsi tanto universali… e a rimanere nelle classifiche di vendita anche a mesi di distanza.