James Senese, il suono (del sax) della periferia nord di Napoli
Intervista al leggendario artista che ha da poco pubblicato il nuovo album "O' Sanghe"
Se la periferia nord di Napoli fosse un suono sarebbe quello del sax di James Senese. Una voce intrisa di rabbia, appucundria, sofferenza e vita che (con)fonde l’anima e le radici dell'America, dell'Africa e di Napoli. È per questo che bastano due note per riconoscerla tra centinaia di sax. E' uscito da poco il nuovo album "O' Sanghe". In quasi 50 anni di musica, ha attraversato trasversalmente la canzone leggera italiana, il funk-jazz, il cantautorato.
James come l’amico nero a metà, Mario Musella, voce degli Showmen, è uno dei tanti figli della guerra, che nel ’45, nacquero a Napoli. Il padre James Smith, un soldato statunitense afroamericano, s’innamorò di Anna Senese. Una delle tante storie che ispirò "Tammurriata nera". Lo vado a trovare a Miano, al terzo piano, di un palazzo del Parco Ice Snei, case popolari degli anni ‘50. James non andrebbe raccontato, ma vissuto con quella enorme massa anarchica di capelli, la voce cavernosa, la sua gestualità e l’intercalare: alla quale, è chiaro, e capit? Ha lottato tutta la vita per farsi comprendere e accettare, forse per questo James finisce ogni frase dicendo: e capit? Entriamo nel suo mondo, una camera piena di dischi e foto, con un piccolo home studio per fissare e lavorare alle idee: “Io non mi fermo mai, la vita mia sta in questa stanzetta. Qui studio e compongo il mondo che poi porto fuori".
Hai avuto la possibilità di andare via, perché hai scelto di restare a Napoli? “Il mio sentimento è legato a questa città. Qui ci sto bene, nonostante oggi c’è tanta gente che ha venduto l’anima al diavolo”, mi dice, con amarezza, e si riferisce alla criminalità.
Non sarà stato facile crescere nero nella periferia napoletana del dopoguerra. “Non lo è stato, ma da allora non è cambiato nulla. Il razzismo ce l’abbiamo dentro, perché non sempre riusciamo ad accettare la diversità. Per questo dobbiamo lavorare quotidianamente su noi stessi.”
Quando ti sei innamorato del sax? "Ero piccolo la prima volta che ascoltai i fiati su un disco di Glen Miller. Ma a sconvolgermi fu il suono di Coleman Hawkins e Yusef Lateef e poi Charlie Parker e John Coltrane. Non sapevo nemmeno la differenza tra sax tenore, soprano e baritono. Li comprai tutti a rate, per poi scegliere il mio strumento, il tenore".
Negli anni ’70 dalle ceneri degli Showmen, James e Franco Del Prete fondano i Napoli Centrale. Avanguardia che rompe con l’omologata canzonetta sanremese, mescolando la tradizione napoletana col jazz. Una rivolta non solo musicale e testuale, ma fisica ed esistenziale, per storia e per scelta. E da allora quella musica fuori da ogni schema e moda, non ha mai smesso di suonare.
"O' sanghe" segna il ritorno discografico dei Napoli Centrale, perché questo titolo? “Il sangue è tutto: la sofferenza, la vita. Un titolo migliore non c’era.” Il brano che dà il nome al disco è una sorta di preghiera laica a Dio, con cui James chiede un miracolo vero, per salvare il mondo e dare un senso all’esistenza.
In questo disco hai ritrovato ai testi e in due brani, anche alla batteria, il compagno di sempre, Franco Del Prete. "In realtà non ci siamo mai lasciati veramente. Al di fuori di me e di Franco nessuno ha mai scritto per i Napoli Centrale, quindi era un ritorno dovuto, quasi un’esigenza fisica” Sempre vicino agli ultimi, "O' sanghe" è un album dal forte tiro funk con groove, che sorreggono melodie blues e incursioni jazz, il tutto immerso nel mediterraneo. A chiudere il disco ritroviamo il brano, Addo’ vaje, colonna sonora dell’ormai cult, No grazie, il caffè mi rende nervoso. Film del 1982 in cui James interpretava se stesso intervistato da Lello Arena.
Tranne rare eccezioni hai sempre cantato in dialetto. “Nel napoletano ritrovo la mia vita e quindi riesco ad esprimermi meglio. Non è un dialetto ma una lingua. Quando senti l’americano o l’inglese capisci qualcosa? Nun capisci manco ‘o cazzo, però ti piace il suono, perché è universale. Il napoletano è uguale. Ritorniamo al razzismo, a noi napoletani ci hanno sempre ostacolato, ma non sono riusciti a fermare la nostra musica, perché arriva al cuore della gente".
Solo un altro artista si è identificato completamente con Napoli, attraverso il proprio strumento, Pino Daniele. "Mi diceva sempre che quando eravamo insieme non dovevamo fare altro che suonare e naturalmente usciva fuori tutto ciò che siamo. Questo feeling l’ho avuto solo con lui. Eravamo come fratelli. Quando stavamo insieme ci ridevano gli occhi".
Quanto è stato difficile in questi anni andare avanti senza mai fare compromessi? "Assai. Ho fatto la fame rimanendo anche due, tre mesi senza lavorare e quando devi dare da mangiare a più famiglie diventa complicato".
Vera e sofferta la musica di James non ha bisogno di seguire mode, basta a se stessa. Mi viene in mente la scena del film quando Lello Arena gli domandava: "Senese, proponi di te un’immagine normale su un palco spoglio, con nessuna scena e nessun costume, uno spettacolo povero. Credi che la musica del tuo sassofono sia così perfetta da farsi perdonare tutto?” E James incazzato gli rispondeva: "A te, ti piace 'a musica o fummo? Chesta è ‘a musica".