Coronavirus, da Losanna un'italiana a Tgcom24: "Mi prendono per matta, qui non hanno compreso il pericolo"

La testimonianza di Silvia, 47enne di origine toscana, impiegata in un'assicuzione: "L'azienda ha preso subito tutte le misure e lavoriamo in home office, mentre per le strade e al supermercato fanno tutto quello che non si dovrebbe fare in una pandemia"

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"Per quanto ami la Svizzera, dove lavoro da 8 anni, in certi momenti, come questo d'emergenza, mi dico che è meglio vivere in Italia che all'estero e ho cambiato anche idea su Conte e il suo governo". Non è facile per Silvia, 47enne italiana a Losanna, impiegata in un'assicurazione, dividersi tra le notizie allarmanti che arrivano dai suoi famigliari in Toscana e la vita che le scorre sotto la finestra, nella piazza vicina al centro cittadino. "Fanno tutto quello che non si dovrebbe fare in una pandemia e se dico qualcosa, come è successo al supermercato, mi prendono per matta", racconta a Tgcom24.

Mentre in Svizzera domenica 29 marzo si registravano oltre mille nuovi casi in un giorno, cosa vedeva dalla finestra della sua casa di Losanna?

"La vita trascorre come una normale domenica pomeriggio. Gente in piazza, vicino al centro città, mamme con i passeggini; sono vietati assembramenti con più di cinque persone, ma fino a 4 si parla tranquillamente, mantenendo la distanza... Una situazione surreale; sono tutti fuori, non hanno capito la gravità del caso. Gli svizzeri credono di essere riparati da non so quale montagna che può fermare il virus e si sentono protetti nel rispettare le regole imposte dalla Confederazione".

Quali sono?
"La quarantena ancora oggi non è obbligatoria; scuole e negozi ora sono chiusi, ma qui fanno tutto quello che non si dovrebbe fare in questa condizione di pandemia. Il lockdown completo è solo nel Ticino, autorizzato da Berna dopo aver ben valutato tutte le ricadute economiche. Per il resto la Confederazione si è appellata alla civiltà dei suoi cittadini".

Poi, concretamente, cosa accade?
"Accade che io che mi sono messa in autoquarantena, anche perché il 19 marzo, anticipando la fine delle mie ferie, sono rientrata a Losanna da una vacanza in Cile. Seguo le direttive italiane, oltre a continuare nelle misure di igiene che già applicavo in caso di raffreddore. Lavoro in home office, per fortuna, perché la mia azienda da sempre è avanti nello smartworking e ha preso subito autonomamente misure anti-coronavirus: in quarantena i colleghi rientrati dall'Italia e che avevano viaggiato in aereo, per esempio. Poi vado al supermercato una volta alla settimana, con mascherina e guanti, e vengo presa per matta".

Perché?
"Niente ressa, per carità, e anche tutti in fila ordinati, a distanza, a prendere un numero all'ingresso per la statistica. Ma poi, dentro, addetti senza mascherine e guanti, le cassiere non sono protette dal plexiglass come in altri supermercati, così io ho pure fatto notare al personale che nel negozio eravamo in troppi. La risposta? Stia tranquilla, non si preoccupi, basta igienizzare le mani all'ingresso".

Invece, lei è preoccupata, ricevendo anche notizie dall'Italia?
"Con le notizie dall'Italia mi sento informata anche se da lontano la paura si amplifica; qui viene dato ogni giorno il bollettino, senza alcuna analisi, così nessuno svizzero ha realmente capito che pericolo corriamo. In proporzione rispetto a Italia e Spagna qui, con 8 milioni di abitanti, la situazione è più grave. Inoltre, la sanità è privata... Il tampone costa tra i 180-200 franchi (circa 190 euro) e si fa solo presentando ricetta medica: se ho un'assicurazione con franchigia a 300 franchi e per tutto l'anno non ho altre spese lo pago, altrimenti no. Io, alla fine, mi sono chiusa in casa, per la mia salute e quella degli altri. Ognuno di noi deve capire di avere una doppia responsabilità, personale e collettiva".