Coronavirus, il "paziente 1" commosso: "Il mio unico desiderio è poter assistere alla nascita di mia figlia"
E' uscito 11 giorni fa dalla Terapia intensiva dell'ospedale San Matteo di Pavia e, ora, dopo un mese, finalmente sta bene, indossa abiti "civili" e presto potrà riabbracciare sua moglie
"L' unico desiderio che ho è potere assistere alla nascita di mia figlia. I dottori mi assicurano che ce la farò". Sono le parole lucide ma commosse di Mattia, il "paziente 1" di Codogno, uscito 11 giorni fa dalla Terapia intensiva dell'ospedale San Matteo di Pavia, dove era arrivato in condizioni disperate il 22 febbraio. Il 38enne ce l'ha fatta, ha sconfitto il coronavirus e finalmente ha potuto rivedere la moglie incinta, al'ottavo mese di gravidanza, anche se per ora solo attraverso un vetro. E' accaduto giovedì, dopo una lunga malattia.
28 giorni - Dopo 28 lunghissimi giorni Mattia finalmente sta guarendo, dice a "Repubblica" il primario di malattie infettive del policlinico di Pavia Raffaele Bruno. "Lo abbiamo appena staccato anche dall'ultima macchina. Ora piange perché è felice: sa che la vita gli ha regalato il tempo per veder nascere la sua prima figlia". Era Bruno che ogni giorno, alle 18, in queste ultime quattro settimane, chiamava la moglie per aggiornarla sulle condizioni del marito.
L'appuntamento telefonico - "Vivevo in attesa di quel momento", dice la donna al "Corriere". "E alzavo sempre la suoneria al massimo". Proprio lei ha appena portato in reparto una tuta da ginnastica che il marito potrà finalmente indossare, sostituendo il camice ospedaliero. A seguire Mattia, insieme a Bruno è stato anche il primario di virologia Fausto Baldanti. E' lui a raccontare i passi fatti in laboratorio in queste quattro settimane di guerra al virus. "Abbiamo isolato gli anticorpi prodotti dai primi contagiati nel Lodigiano - spiega -. Il loro plasma, come già in Cina, aiuterà a salvare molte vite. E' pronto un test più rapido e completo del tampone, che rivela anche la concentrazione del virus: saperlo rende le terapie più efficaci e tempestive".
La guerra in camice - E infine Stefano Paglia, primario del Pronto soccorso di Codogno e di Lodi, che da quando è esplosa l'epidemia non è più tornato a casa perché, dice, "conosco la violenza del coronavirus. Se facciamo altri sbagli, ci può sterminare". E avverte: "Infermieri e medici adesso devono salvare il numero più alto possibile di vite. La prima condizione è rimanere al lavoro. La seconda condividere quanto abbiamo scoperto".
Il ritorno - Grazie ai suoi tre "angeli" d'ospedale Mattia, dovrebbe tornare a casa all'inizio della prossima settimana. "Sono dimagrito e sono in forma", assicura lui, in attesa di lasciare finalmente il policlinico. E riabbracciare la moglie e i suoi cari.