Il Coronavirus fa tremare i porti italiani: meno merci e più cinesi nella gestione dei terminal container

Nel periodo del lockdown è stato soppresso il 16,5% delle rotte che partivano dalla Cina verso il Vecchio Continente e oggi si vocifera di un interesse di Pechino per il porto di Taranto. La presenza orientale nelle acque italiane ha però origine ben prima della Pandemia

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L’epidemia di Coronavirus sta impattando il sistema economico italiano in tanti modi. Dopo la paralisi di servizi e produzione, a essere colpiti sono stati pure i trasporti di merci, inclusi quelli via nave, e in generale l'organizzazione delle infrastrutture portuali.

Il business del mare - Con quasi 8mila chilometri di coste e 534 tra porti commerciali e turistici, l’Italia ha con il mare un rapporto non soltanto sentimentale. Attraverso i 57 porti di carattere nazionale, raggruppati in 16 zone chiamate Autorità di sistema portuale, accogliamo l’84% delle merci importate dall’Ue e ben il 99,4% di quelle in arrivo dai paesi extra Ue. Stessi numeri se si guarda all’export: il 95,9% del made in Italy destinato alle realtà non europee si muove su container (dati Eurostat 2018).

Meno merci da e per la Cina - L'effetto immediato della quarantena è stata una riduzione dei volumi di merci nei porti, soprattutto per quanto riguarda le merci in arrivo dalla Repubblica Popolare Cinese, vale a dire il 20% dei container in ingresso nei porti italiani. “Sicuramente vi è stato  un rallentamento degli interscambi con la Cina dovuto alla riduzione delle attività manifatturiere e commerciali, ma non risultano per ora modifiche di natura organizzativa”, spiega Oliviero Baccelli professore Economia e politica dei trasporti e direttore CERTeT – Centro di Economia Regionale, Trasporti e Turismo dell’Università Bocconi.

“Quello che si può prevedere, - continua Baccelli, - ma solo per determinate merceologie legate a componenti ad alto valore, è la sostituzione fra traffici via mare (più lenti, in considerazione che da e per la Cina sono necessari almeno 30 giorni per le consegne) con traffici via aerea (3-4 giorni di consegna) in considerazione dell'urgenza nelle consegne che magari sono state rallentate dalla chiusura più lunga del prevista rispetto alle ferie del capodanno cinese. Credo che sia limitato a componenti nel settore dell'automotive e dell'elettronica dalla Cina all'Europa”.

Un calo dei volumi atteso è stato documentato già in Liguria: nel primo trimestre del 2020 le merci movimentate complessivamente dai porti di Genova e Savona-Vado sono diminuite del 5,4%, a 16.050.177 tonnellate. Un calo "totalmente imputabile" all'andamento negativo del mese di marzo chiuso a -16,2%. Quasi un milione di tonnellate in meno rispetto a marzo 2019 sottolinea la nota dell'Autorità di sistema portuale del Mar Ligure Occidentale che ha pubblicato i dati definitivi del traffico dei primi tre mesi dell'anno.

E i dati più globali sono anche peggiori: l’associazione dei porti cinesi stima per gli scali asiatici una contrazione tra il 10 e il 15% dei volumi rispetto all’anno precedente. Un crollo che non danneggiarà soltanto il Dragone ma avrà effetti negativi anche sul Nord Europa e sul Mediterraneo. Nel periodo del lockdown è stato soppresso il 16,5% delle rotte che partivano dalla Cina verso il Vecchio Continente, 

La silenziosa invasione cinese - Le merci ma non solo. Mentre l'Italia continua a perdere posizioni a livello internazionale (siamo solo la terza potenza marittima in Europa dopo Olanda e Regno Unito), la presenza cinese è sempre più rilevante nella gestione dei porti italiani intesi come infrastrutture  strategiche. Il fenomeno - per quanto non ancora esteso o paragonabile a quanto successo con il Pireo di Atene (prima realtà europea per i container, seguita da Valencia e Barcellona) - è chiaro già da tempo.

La situazione di Savona-Vado Ligure - Già nel 2016 è nata una joint venture tra i danesi di Maersk e la cinese Cosco per gestire il terminal container e Reefer Terminal (i container refrigerati) di Savona-Vado Ligure. Nella nuova entità, Maersk opera attraverso APM Terminals e detiene il 50,1%, mentre Cosco si ferma al 40%. Un ulteriore 9,9% è nelle mani di Qingdao Port International Development, controllata dalla società che ha in mano il porto cinese di Qingdao (tra i primi dieci scali al mondo per importanza).

Singapore a Genova e Venezia - Dagli anni Novanta il terminal PSA Genova Pra' è controllato dal Gruppo Sinport  (nato su iniziativa della Fiat e poi controllato come socio di maggioranza da PSA di Singapore). Stessa situazione, insomma, del terminal  Venezia Vecon Spa che ha come maggiore azionista i l gruppo PSA che controlla 28 porti in 16 paesi del mondo. 

La questione del porto di Taranto -  Mentre il ruolo di una partnership è in una fase di valutazione anche a Trieste (il dialogo è già aperto con la statale Cccc, China communications construction company), arrivano proprio in questi giorni segnali che i cinesi vogliano spingersi fino a  Taranto.

Ferretti Group - azienda di cantieristica nata italiana ma dal 2012 salvata in extremis dai cinesi della Weichai Group, società statale che ne detiene l'86% - vorrebbe realizzare nello scalo pugliese un centro di ricerca e uno produttivo per scafi in vetroresina e carbonio.  

Il progetto non è stato ancora ufficializzato ma un mese fa sulla presenza mandarina nella regione si era espresso favorevolmente il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla programmazione economica e agli investimenti, il pentastellato Mario Turco, originario proprio di Taranto.  Adesso due deputati pugliesi di Fratelli d'Italia, Davide Galantino e Marcello Gemmato hanno chiesto l'accesso agli atti per recepire tutta la documentazione riguardante l'operazione e presentato interrogazione al ministro Luigi Di Maio e al presidente del Consiglio Giuseppe Conte per fare luce sulla vicenda.