Bologna, insulti razzisti a baby calciatore: i compagni scendono in campo con un segno nero sul volto
"Da noi non c'è spazio per razzismo e odio", dice il presidente della Murri calcio spiegando l'iniziativa messa in atto dai suoi 190 tesserati
Offese razziste a un compagno, calciatori in campo con un segno nero sul volto
Un segno nero sul volto per dire no al razzismo: è l'iniziativa presa della Murri calcio di Bologna dopo che un loro tesserato, un bimbo di appena 8 anni, è stato insultato con parole razziste da un avversario della stessa età. Così tutti i 190 giocatori della Murri, dai piccoli di 7 e 8 anni fino ai più grandi, hanno voluto mettere bene in evidenza che non c'è spazio per il razzismo e per l'odio, scendendo in campo con le guance dipinte.
"Non abbiamo voluto alzare un polverone, perché la questione ha riguardato due bambini - ha spiegato il presidente della società sportiva dilettantistica, Roberto Minganti, a Il Resto del Carlino -. Ma con questa piccola iniziativa vogliamo far capire come la pensiamo noi sulla faccenda. Sicuramente quel bambino le parole che ha riferito al nostro ragazzino non se le è inventate, le ha sentite dagli adulti. E non deve essere così. Il calcio è un gioco, deve essere integrazione e socialità".
"Gli atteggiamenti violenti dei piccoli in campo sono spesso mutuati da quelli degli adulti", ha sottolineato il presidente della Murri, ricordando il brutto gesto di una mamma che in Brianza ha insultato un bimbo di colore della squadra avversaria, dandogli del "negro di m...". "Ecco - ha detto Minganti - se da noi un genitore si permette di insultare un bambino o un ragazzo di un'altra squadra lo invitiamo con educazione alla porta, espellendo il figlio dalla squadra, anche se ha i piedi d'oro".
Nel Modenese via i genitori dagli spalti - In Emilia si susseguono sui campi di calcio giovanile iniziative educative per reagire alle discriminazioni. Nel Modenese gli allievi del San Paolo hanno deciso di dare una risposta alle offese razziste arrivate a un arbitro dalla tribuna dove erano presenti i genitori. La società, dopo averne parlato coi calciatori, si è inventata la "giornata di squalifica" al pubblico: gara successiva a porte chiuse per impartire una lezione.